PANOPTICON FRANKENSTEIN

La musica è assordante, violentemente techno, le luci psichedeliche e disorientanti. Un night club, una discoteca, un carcere: mondi paralleli si intrecciano, le contraddizioni esplodono.

In mezzo alla deflagrazione cammino sulle punte, spio, fotografo, raccolgo i pezzi, li accumulo.

Il pubblico è invitato a disporsi in cerchio attorno ad una struttura-torre  a più piani, perno dello spettacolo. E’ cabaret anni ’30 trasformato in un disco-inferno. Figure ammalianti, seducenti e provocanti ballano e sorvegliano, si mostrano e rassicurano.

Il frastuono rende il ritmo dell’azione frenetico.

La torre è il centro dell’azione. L’occhio che può vedere tutto ciò che è attorno. Il pubblico è ai suoi piedi. E’ sotto tiro. Sotto tiro anche le tre pedane-celle disposte ai tre angoli del triangolo inscritto nel cerchio formato dal pubblico.

La torre allora non è più solo una gabbia da discoteca: è la torre centrale del Panopticon, il carcere  a pianta circolare progettato da Bentham. Alla periferia una costruzione ad anello divisa in celle, al centro la torre. Il Panopticon non è un edificio onirico, è un puro sistema architettonico e ottico: un tipo di inserimento dei corpi nello spazio. Di distribuzione degli individui gli uni in rapporto agli altri. Di organizzazione gerarchica. Di disposizione dei centri e dei canali di potere.

È la cabina di regia di molti reality show. È un mostro. È artificiale come il mostro. Artificiale come la vita in un carcere. Mostruosa come l’etichetta di mostro. Come un carcere con 700 celle e 700 tv tutte sintonizzate a guardare degli uomini chiusi in una casa.

I blindi sbattono. Le chiavi tintinnano di continuo. Il vociare a tratti è assordante. Il corpo è costretto.

Fino a che l’occhio si spinge a spiare dentro al buco della serratura di una cella. Di una casa. Di una solitudine. La luce si concentra in un’unica cella. Su una persona: primo numero del cabaret-disco-inferno.

La donna cannone intreccia lenzuola raccontando la storia della reclusione di Mileva.

Si torna alla torre di controllo, luogo che tutto dirige e da cui tutto passa. Luogo che detta i ritmi della vita come dello spettacolo. Che tutto vede e tutto sa. Dove la follia del disco-inferno continua ad impazzare.  Altro numero: la ballerina nera. Senza musica si muove mentre una voce off racconta una vita di droga e prostituzione. Altro numero: la donna serpente e la storia di Badre, dei suoi 21 anni e dei suoi 5 compleanni trascorsi in carcere.

Tre storie diverse e distanti di persone incarcerate.

Tutti a guardare: spettatori e abitanti della torre.

Chi guarda chi.

Chi giudica chi.

Chi racconta chi.

Il grande voyeur non si imbarazza, non ascolta, rimane freddo e distaccato. Violento ma non credibile per i panni che indossa e per quello che fa.

Musica assordante. Luci isteriche.

CREDITI

SPETTACOLO FINALISTA PREMIO SCENARIO INFANZIA 2006

ideazione Valeria Raimondi ed Enrico Castellani

con Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Valeria Raimondi, Beauty Omoruji

musiche originali Burdello

scene Gianni Volpe

costumi Franca Piccoli

luci e audio Nicola Fasoli, Giovanni Marocco e Marco Spagnolli