PIETRE NERE

Tutti noi abitiamo una casa. Nessuno se non i barboni, i senza tetto, abitano davvero la città. Qualsiasi sia il nostro lavoro, qualsiasi sia la nostra indole, prima o poi, ogni giorno, tutti noi rientriamo a casa. È dall’interno di una casa che abitiamo il mondo. La casa è una mediazione tra noi e il mondo. Non importa che foggia o che valore abbia. Dove sia situata, quali siano le sue caratteristiche, con che criteri sia stata costruita. Non importa la distribuzione degli spazi interni. Gli equilibri sui quali si fonda l’armonia di una casa possono essere profondamente differenti a seconda di chi la abita, della sua cultura, età, estrazione sociale. La casa però resta sempre il tentativo di costruire e creare uno spazio intimo. Di adibire un luogo ad accogliere una porzione di mondo fatto di cose e persone e piante e animali e atmosfere e abitudini ed eventi con cui instaurare uno stretto legame e in grado di farci stare bene, di farci sentire a nostro agio, di renderci felici.

Ognuno, secondo il suo gusto e le sue possibilità, tende a costruire, ristrutturare, arredare la propria casa a sua immagine e somiglianza: è un modo per prenderci cura di noi stessi.

La casa però è stata ed anche luogo di nascondimento. Di separazione dall’esterno, dal mondo.

Luogo dove sono nate e nascono molteplici fratture e divisioni. La casa è il luogo in cui avvengono violenze, oppressioni, torti. La diseguaglianza tra generi trova nella casa un suo luogo di nascita e d’elezione. Sempre attraverso la casa la nostra società esprime la diseguaglianza economica: attraverso la sua proprietà o meno, ma anche per mezzo della sua posizione all’interno di geografie cittadine che sono espressione del ruolo che occupi all’interno della società. La casa, come noi oggi la concepiamo, è anche motore e incarnazione della separazione tra civile e selvatico, tra urbano e naturale in quanto, fatta qualche rara eccezione la casa può essere abitata solo da esseri umani.

Oggi le nostre casa stanno cambiando. Quello che è stato il loro ruolo fino a non molti anni fa sta venendo messo in crisi alla radice. La casa sta smettendo di essere il luogo dove raccogliere, accumulare, custodire ciò che non può essere messo e portato in piazza. Fino a poco tempo fa c’erano luoghi adibiti alla socialità e questi luoghi iniziavano dopo che la porta di casa era stata chiusa alle spalle. Ci auguriamo che le nostre case possano essere sempre più cosmopolite, senza che questo debba essere in contrasto con l’identità locale e sempre meno scrigno di segreti, ma sempre più luogo di incontro e di condivisione. Luoghi di cui conoscere e tramandare le storie e le vicende. Delle case raramente conosciamo la storia. Diamo rilievo alle storie delle persone, a quelle delle città. Alle storie delle case no. Quasi fossero luoghi anonimi. Involucri senza importanza. Il più delle volte non è così. Non conoscere la storia delle nostre case è un po’ come negare l’importanza della storia della terra che, di fatto è la nostra casa. I continenti e le nazioni sono le stanze in cui abbiamo suddiviso quel grande appartamento che chiamiamo mondo.

Ci proponiamo di indagare il concetto di casa a partire da luoghi che, agli occhi dei più, case non sono.

Di spostare il punto di vista.

Accogliere e adottare lo sguardo di chi questi luoghi li abita.

Case di riposo, case famiglia, carcere, strada, ospedale, dormitori, centri d’accoglienza per chi li abita sono casa.

O se casa non sono, sono il luogo in cui abitano.

Ognuno ha la sua casa.

Casa è il nostro corpo.

Sono i nostri vestiti.

È la persona amata.

È un affetto.

Una città, un quartiere.

Casa è il luogo in cui siamo cresciuti.

Casa è un oggetto, una foto, una lettera, un profilo su un social network.

CREDITI

di Enrico Castellani e Valeria Raimondi
e con Francesco Alberici
direzione di scena Luca Scotton
illustrazione Nadia Pillon
produzione Babilonia Teatri e La Corte Ospitale
coproduzione Operaestate Festival Veneto
con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo

  • Foto di scena

  • Video promo