PORNOBBOY

Pornobboy fotografa il nostro tempo. La realtà e le sue contraddizioni. Va a scovare le nostre incoerenze. Per scoperchiarle. Per riderne. Con cinismo. Con affetto. Il centro dello spettacolo è il continuo bombardamento mediatico. Il nostro modo di vivere e recepire tutto ciò. Il nostro farne parte. Il bisogno di mostrare, ostentare, guardare e vedere tutto. Viviamo sotto il fuoco incrociato di una comunicazione che ci rende dipendenti. Siamo morbosamente attratti da particolari pornografici. Da dettagli macabri. Da una cronaca che si occupa dei fatti senza interrogarsi su cause ed effetti. Regna l’incapacità di scindere pubblico e privato. Il continuo mescolarsi dei piani. Una schizofrenia in cui nuotiamo quotidianamente.

Pornobboy non è una requisitoria sul sesso
è un blob del nostro presente saturo
tutto viene pornograficamente mostrato
noi ne godiamo
ci scandalizziamo
ci affoghiamo
tutto si può vedere
non di tutto si può parlare
il dire e il fare
la faccia e il culo
siamo un concentrato di contraddizioni
siamo ridicoli
siamo nudi
certe cose non si fanno
certe cose non si dicono
certe cose neanche si pensano
tutto si può fare
non tutto si può condividere
tutto si può avere
qual è la distanza che separa la parola dai fatti

CREDITI

di Enrico Castellani, Valeria Raimondi
con Enrico Castellani, Valeria Raimondi
con la collaborazione artistica di Vincenzo Todesco
consulenza tecnica Gianni Volpe
luci e audio Babilonia Teatri/Luca Scotton
realizzazione scena Sergio Dalle Donne
costumi Franca Piccoli, Cristina Fasoli
organizzazione Alice Castellani
grafica manifesto Francesco Speri
foto manifesto Massimo Molinari
foto di scena Marco Caselli Nirmal
produzione Babilonia Teatri, Festival delle Colline Torinesi, Operaestate Festival Veneto

col sostegno di Viva Opera CIrcus, Kilowatt Festival, Teatro Fondamenta Nuove

“La scrittura è fluida. Ma non lineare. Si salta, si vaga, si cerca. Il filo rosso c’è. Ognuno ha il suo. Ognuno le proprie visioni. E si procede a tentoni dietro quella luce spenta del primo piccolo atto. Nero. Buio. Pece. E noi dentro il tunnel delle parole dei Babilonia.”

Tommaso Chimenti

RASSEGNA STAMPA

Per capire realmente di che stoffa sono fatti i Babilonia Teatri bisognerebbe avere visto uno degli studi preliminari su Pornobboy, e la versione definitiva presentata al Festival delle Colline Torinesi: nelle fasi di preparazione la scena si riempiva di una serie di oggetti allusivi, water-closet, stampanti, slip provocatoriamente sventolati, e così via. Alla fine delle prove hanno avuto il coraggio e la lucidità di togliere tutto, lasciando solo le parole che riversano in faccia al pubblico in un coro insieme antico e dissennatamente post-moderno.

Il titolo come si evince dalla lunga, sarcastica dedica rivolta alle principali testate giornalistiche-e ai loro inserti e supplementi, ai gadget in omaggio, ai fascicoli sulla cucina, sulla casa, sui motori- non si riferisce alla pornografia del sesso, ma a quella dell’informazione: tema dello spettacolo è la morbosa attrazione per il sangue, i delitti, gli scandali, per i dettagli macabri, i risvolti disgustosi, l’enfatizzazione degli avvenimenti che trasforma non tanto la natura degli avvenimenti stessi, quanto la sensibilità di chi li recepisce.

Il testo, secondo lo stile del dirompente gruppo veronese, non ha traccia di vera costruzione drammatica, ma è composto dall’impassibile assemblaggio dei più diversi frammenti linguistici: stralci di articoli, frasi fatte, luoghi comuni vengono vertiginosamente accostati tra loro e ossessivamente moltiplicati fino a diventare filastrocche, nenie, vacue elencazioni, incrociandosi con proverbi e modi di dire, disponendosi a volte anche in imprevedibili rime baciate, che imprimono al tutto cadenze quasi musicali.

Immobili nella scena vuota, lo sguardo un po’ truce, il tono impersonale, i bravissimi Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Ilaria Dalle Donne snocciolano con furiosa energia un’incalzante litania in cui convergono Cogne e Perugia, Veronica, la nazionale di calcio, Eluana che “aveva ancora le mestruazioni” e “poteva concepire un figlio”. La singolarità della loro scelta espressiva è che essa trascende la satira, trascende la protesta: si limita a tracciare con gelida oggettività uno spassionato ritratto di ciò che siamo. Usa le quotidiane idiozie della nostra società per ritorcergliele contro, con effetto deflagrante.

Questo flusso sonoro, il cui ritmo non cade neppure per un attimo, si interrompe solo al risuonare fuori campo di un motivetto infantile, da Zecchino d’ Oro: stranamente, a differenza del solito, la trovata non ha nulla di derisorio, ma evoca invece una specie di vaga nostalgia: poi un macchinario sospeso riversa un enorme colata di schiuma che inghiotte l’intero palco e i suoi occupanti. L’impressione è fortissima: non vorrei esagerare ma credo che siamo di fronte a uno dei fenomeni più audaci e innovativi del teatro italiano degli ultimi vent’anni.

Nel benemerito festival delle Colline Torinesi, da sempre dedicato al nuovo teatro e ai più interessanti giovani gruppi europei, quest’anno la punta di diamante per il linguaggio del corpo, per il provocatorio uso della parola, per la precisa scelta di cambio è Babilonia Teatri, ensemble del Nord Est rivelatosi qualche anno fa grazie al Premio Scenario. In scena , in questo loro nuovissimo Pornobboy, sono solo in tre, ma la riempiono tutta, anche se se ne stanno lì, immobili.

Un ininterrotto flusso di parole come una scudisciata, una richiesta incessante, estrema di verità. E’ un coro tragico, che denuncia un profondo malessere sociale e morale, giocato su tre voci in perfetta sintonia. Che, arrivate al culmine del discorso, si arrestano all’improvviso, per poi riprendere come se avessero un metronomo infallibile nella testa dopo aver rovesciato su di noi una serie di domande sulla nostra vita. Domande che nascono dal bombardamento dell’informazione, che non ci racconta solo i fatti per commentarli, ma che vuole soddisfare, con tutta una serie di allegati, ogni curiosità. Da qui nasce quell’idea del porno, un po’ un’ossessione per questo gruppo che vuole fare un teatro “pop e rock”, veloce e immediato, che non riguarda solo la sessualità, ma che è il metro di ogni azione. Gambe larghe, vestiti come i ragazzi d’oggi, Castellani, Raimondi, Dalle Donne, ci raccontano di una società guardona, di un mondo che, a seconda delle scelte, rivela “verità”diverse.

Pornografici sono il modo in cui i fatti vengono raccontati, la nostra richiesta spasmodica che non è un bisogno di conoscenza, ma desiderio di particolari sempre più tragici nella loro cretina ovvietà, nella loro impudicizia. Vogliamo sapere le cose più insignificanti, sulla morte di Giuliani, di Quattrocchi, sul delitto di Cogne, su Veronica e Silvio. Così, tanto per sollecitare il bisogno di spettacolo a tutti i costi, di un reality più falso del falso. Il vertice si tocca secondo i Babilonia Teatri, con la tragica vicenda di Eluana Englaro, dove il riportare parole dette davvero e qui snocciolate come un rosario, ci precipita in un paesaggio sinistro, in una violenza di massa, senza pietà nei confronti di una vittima innocente.

Questi attori che non vogliono di certo farci una morale, ci comunicano fisicità ed energia, trasformandosi nella maschera e nel megafono di una requisitoria che ci riguarda.

Sarcasmo, provocazione, disperazione, con un’improvvisa apertura non si sa se irridente o dolce verso l’ingenuità dell’infanzia rappresentata da un coro di bambini dello Zecchino d’ Oro che canta la pace e la condivisione. Altrimenti un enorme mare di bianca schiuma artificiale (quasi sperma che fa nascere pensieri e parole “morte”), prodotto a vista da una macchina che sta in alo sopra la scena e che inghiotte gli attori, ci sommergerà, ci seppellirà, ci farà fuggire. Verso dove?

Serata turbolenta, adrenalinica e smaniosa, all’Operaestate Festival, per merito di un caparbio studio-blob messo in mostra da Babilonia Teatri […]C’è stato il varo, qui, d’un primo irruente schema di Pornobboy ad opera di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, emersi da qualche tempo con made in italy, e per ora è un lavoro d’urto a base di dediche feroci, glamour sessuale, disputa performativa, installazione sonora, blitz canaglieschi e cartellonistica di beatitudine evangelica.

Scioccante e implacabile, Pornobboy di e con Enrico Castellani e Valeria Raimondi (con la ben affiatata Ilaria Dalle Donne) distoglie dal blob nazionalpopolare del loro precedente di culto made in italy, e impartisce un affondo cupo sui malcostumi mediatici. In perfetta sincronia i tre danno vita a un oratorio che riproduce temi e schemi efferati dei linguaggi informativi. Una prestazione rara, la loro, votata a un eccesso (anche sarcastico) di sfrontatezza e di macabro che discenda da un’ etica dello scandalo. Superbi tecnicamente, sfiorano forse l’estenuazione. Ma la cartellonistica cui si dedicano in apertura, e quella travolgente (incredibile) schiuma che li sommerge alla fine, bilanciano con lievità l’integralismo del lavoro.

Nell’affascinante Garage Nardini di Bassano del Grappa, uno dei luoghi di Operaestate Festival Veneto, evento estivo tra i più noti per l’attenzione allo spazio e ai generi, il gruppo veronese Babilonia Teatri, conosciuto con lo spettacolo made in italy, che sta girando l’Italia senza sosta dopo aver vinto il Premio Scenario 2007, ha proposto il primo studio di un nuovo progetto scenico, Pornobboy, terribilmente rosa e fortemente pop.

Babilonia Teatri è per un teatro pop, per un teatro rock e per un teatro punk. La giovane compagnia veronese, che irride le convenzioni, i luoghi comuni, i clichet della vita moderna e del teatro contemporaneo, mette insieme le contraddizioni della realtà in cui è nata, cresciuta e si è moltiplicata. Essere pop-rock-punk è evidentemente una provocazione, uno di quegli ossimori di cui Babilonia Teatri nutre la propria originale drammaturgia, affrontando così il teatro di parola e di critica sociale, con un sereno ma feroce distacco. L’assaggio di quel che sarà Pornobboy visto a Bassano nella sua prima uscita ufficiale è già in grado di dispiegare tutto il potenziale di comicità caustica, di ironia sovversiva, di citazioni e riferimenti trash: tutti gli elementi su cui la giovane compagnia ha costruito la propria personale ed originale cifra di composizione scenica sono lì, virati in fucsia. L ‘ammasso contorto e fluttuante di parole (non battute), di cose dette (non recitate) e lasciate ad accumularsi sulla scena scarna, trova un’ulteriore valvola di sfogo in questo lavoro che riflette sulla pornografia, sull’esposizione pubblica della propria intimità, sessuale e sentimentale che sia. La più forte e la più irritante è la lettera di Veronica Lario al Corriere della Sera, pubblicata all’indomani delle dichiarazioni “affettuose” fatte dal Premier nei confronti di alcune presenti ad una serata di gala televisiva. Soglie di vergogna abbattuta da cui non si torna indietro, si può solo procedere in avanti, in senso verticale. Lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, vede in scena anche il tecnico-performer e due icone della pornografia contemporanea: una ragazza “Non è la rai”(come non ce ne sono più si direbbe) e un ragazzo Harley (qualcosa di molto vicino a un tronista di Maria De Filippi). Tra citazioni familiari, espressioni dialettali, nomi importanti della canzone d’autore italiana, Babilonia Teatri condensa in una ventina di minuti l’immaginario pornografico dei nostri anni 90/2000, con un indubbio effetto comico e con interessanti risvolti critici.

La scrittura è fluida. Ma non lineare. Si salta, si vaga, si cerca. Il filo rosso c’è. Ognuno ha il suo. Ognuno le proprie visioni. E si procede a tentoni dietro quella luce spenta del primo piccolo atto. Nero. Buio. Pece. E noi dentro il tunnel delle parole dei Babilonia. E’ un elenco. Sembra un elenco. Una lista della spesa dove la parola successiva si allinea e trova continuità con la precedente per assonanza di immagini, di allitterazione, di assonanza, semiotica e dialettica. E’ la parola della pubblicità che cola dai muri e ci avvolge di idee gelatinose e ci imbriglia di miele. E’ un ritmo il suo snocciolare. Sono slogan, a volte soltanto termini accatastati, sovrapposti, diretti come binari. La direzione è il distaccarsene, il prenderne le distanze. Ad assommarsi, a rincorrersi, uno dietro l’altro, uno dentro l’altro ad affinare il chiodo per trovare la profondità, il petrolio. Un flusso di coscienza per stanare quello che è abbagliante, come le luci da aeroporto sparate in faccia agli spettatori con gusto sadico, renderlo visibile, tangibile. I Babilonia infilano il retino nella televisione, nelle frasi fatte, nei clichè, negli stereotipi, frugano nelle tasche della quotidianità, della banalità, del già detto, di quella nostra finta ipocrita originalità che ha solo il gusto del plagio, di quell’autocelebrazione plaudente. Siamo una massa indefinita che si muove senza un perché, ci gridano dal palco, diciamo di non avere capi perché se abbiamo migliaia, professiamo di essere liberi perché le catene ci vanno benissimo e si intonano con il gessato nuovo, ci gongoliamo del nostro pseudo altruismo che altro non è che sopravvivenza. Siamo un branco di pesci, uno stormo d’uccelli: target, clienti, consumatori che si muovono senza un perché o, meglio, per motivazioni che poco hanno a che fare con la propria volontà. Il belloccio “Pornobboy” se ne sta in un angolo, sulla sua moto. Il sesso è l’ultima chance che ci rimane, ma è giocata con la volgarità, con la fretta, con l’uso ed il consumo. I Babilonia sono rabbiosi. Se lo mangiano il microfono, tirano le parole come le noccioline che fanno roteare per aria. Frutta secca per le scimmie ammaestrate, contente del loro status, spiaccicate davanti alla televisione a vedere culi di ragazzine, afflosciate su una radio a ridere della povertà delle lettere d’amore altrui. Di quella voglia collettiva di esserci, di esistere, di alzare la mano e dire ci sono. Anche quando non si ha niente da dire. Anche quando vorremmo essere lasciati in pace nel caldo della pancia del branco. Ad invecchiare annoiandoci.

Quattro i frammenti proposti in venti minuti di rappresentazione. Dediche è una playlist di luoghi comuni, espressioni di ignoranza, banalità, linguaggio da bar, detti popolari e tormentoni televisivi recitati come un rosario urlato e senza espressione. In Non è la Rai, sulla sigla della trasmissione un’attrice seduta agita con aria indifferente due palloncini rosa fissati all’altezza del seno. Il terzo blocco è Lettere d’amore: mentre quattro attori vestiti in modo dimesso e volgare si rincorrono lanciandosi arachidi come scimmie ammaestrate, in sottofondo una voce legge le celebri lettere di Veronica Berlusconi al direttore di Repubblica in merito alle scappatelle del marito e la conseguente risposta del premier. In Affissioni, i quattro attori si improvvisano imbianchini ed incollano in fondo al palcoscenico un manifesto con la frase del Vangelo di Matteo “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono”. Bellissimo il lavoro di scrittura, una sovrapposizione fulminea di affermazioni e d’immagini in continua contraddizione tra loro. Il ritmo è serrato, lo stile è cinico e crudo e costringe lo spettatore ad una visione pornografica della realtà, morbosa e squallida, che si spinge ben al di là di quel che vorrebbe vedere e sentire.

Tre attori immobili sullo sfondo di un cartellone pubblicitario composto da vari manifesti del loro spettacolo «Pornobboy» si lanciano in una invettiva-litania sarcastica e pungente che ha per tema la pornografia delle parole e delle immagini che quotidianamente ci riempiono occhi e orecchie con implacabile volgarità: il linguaggio dell’informazione, per i «Babilonia Teatri», gruppo di straordinario interesse, è autentica pornografia. Del resto cos’altro sono le mezze verità, le verità pilotate, le grossolane semplificazioni, l’insistere su scandali rosa e su delitti con morbosa solerzia in un linguaggio, parola e immagine, degradato e corrotto che sicuramente favorisce lo scadimento culturale e etico di una società? Titoli di giornali, brani di articoli, frasi fatte, luoghi comuni, evocazioni di trasmissioni televisive dove si disquisisce sui dettagli macabri e più sgradevoli di delitti e fatti luttuosi, si intrecciano in un gioco linguistico agghiacciante, ben calibrato e ben recitato, in un mantra terrificante senza intenti né moralistici né predicatori, finché da un marchingegno fallico sospeso nel cielo del teatro cadrà una schiuma bianca sommergendo i bravissimi Valeria Raimondi, Enrico Castellani – anche autori del testo – Ilaria Dalle Donne e con loro tutta la nostra società dal linguaggio malato di cinico opportunismo.

A Volterra, ogni estate, si celebra il teatro. È un rito laico e struggente, un coinvolgimento emotivo straziante, una festa e un funerale assieme. Ogni estate si torna qua, arrampicandosi su tornanti di una Toscana bellissima e fieramente appartata, per capire le possibilità dell’impossibile: per vedere la compagnia della Fortezza anno dopo anno; per cogliere tensioni, per tastare il polso ad artisti che inseguono percorsi di marginalità eppure fondamentali, per sentire il profumo di poetiche inattese e sorprendenti.

Ci si scontra con spettacoli aspri e scomodi, con arrembanti denunce, con fragorosi tormenti. È il caso di, Pornobboy della compagnia Babilonia Teatri, acida requisitoria sulla pornografia del contemporaneo. Lo spettacolo è una aguzza critica sociale, una disperata ballata sul voyeurismo estremo di un’Italia fatta di guardoni e spacciatori di immagini, di opinioni drogate e inculcate, di cronaca nera che si tramuta in isteria collettiva. Pornobboy si apre con una dedica alle mille “possibilità” dei giornali italiani, fatti di inserti, supplementi, omaggi, regali, raccoglitori, libri: tutti uguali per produrre una poltiglia di notizie da consumare velocemente e indifferentemente, parlando di tutto tranne che di questioni davvero urgenti.

Ecco, allora una infilata di “casi” più o meno recenti, dalla Franzoni a Quattrocchi, da Meredith a Lady Veronica, e tutte le storture e le brutture di una cronaca che scavalla agilmente dal noir al rosa,

dallo splatter al salottiero. Ma naturale è parlare della tv, degli approfondimenti morbosi di trasmissioni disgustose e davvero pornografiche. Il bisogno di dettagli, di particolari raccapriccianti, di zoomate implacabili, di testimonianze faziose: ecco il nuovo made in italy della compagnia veronese. In questo testo che è ritmo e evocazione, gioco verbale fatto di allitterazioni e assonanze, rimandi e sonorità, la realtà è denunciata in tutte le sue banali contraddizioni: è una presa di posizione politica e dignitosa di chi sa di essere dentro un sistema distorto, di chi sa di essere complice, consapevole o meno, di una grande truffa di massa.

Con Pornobboy il gruppo – Valeria Raimondi, Enrico Castellani affiancati in scena da Ilaria Dalle Donne, già apprezzato per le precedenti prove – tocca forse l’apice della propria ricerca recente: qui il percorso si fa ancora più rigoroso e tagliente, asciutto e per nulla indulgente, tanto da travolgere il

pubblico e lasciarlo senza fiato. Non c’è un cedimento, semmai un frastornate atto d’accusa che non ha pietà né di chi dice né di chi ascolta.

Dopo aver attaccato mille manifesti (auto)promozionali su un enorme pannello che limita sul fondo la scena – manifesti che riproducono i volti degli attori e il titolo dello spettacolo, quasi a sottolineare l’estremo esibizionismo dei nostri tempi – i tre interpreti si posizionano al centro della scena e qui resteranno immobili sino alla fine. Cominciano a parlare all’unisono, scandendo, quasi urlando ferocemente, battuta dopo battuta, tutto il testo. Solo brevi pause, un respiro, un istante a dividere una “litania” dall’altra; solo un segno delle croce o una inquietante ninna nanna da Zecchino d’Oro a ricordare i tanti anestetici del nostro tempo.

Poi sono le storie, come quella di Eluana, che diventa qui oggetto di un mantra dalle mille declinazioni: Eluana al centro di tutto, usata, sfruttata, denudata, derubata della propria riservatezza in nome di un diritto di cronaca, di un dibattito politico tanto volgare quanto pretestuoso. Le parole di Babilonia sono un’eco di quelle esasperazioni, di quelle volgarità: in dialetto o in italiano, macinano secondo dopo secondo la distanza tra scena e platea. Ed è un attacco senza via di scampo per chi ascolta. Le luci in sala sono accese, gira quasi la testa, ma loro non si fermano. Pornobboy esplode alla fine con una macchina da schiuma, di quelle usate nelle grandi discoteche: un apparato chiaramente fallico, che si gonfia fino a far schizzare sopra le teste degli attori un mare di schiuma bianca, un blob che lentamente invade la scena, inghiotte gli interpreti, lambisce gli spettatori della prima fila. In quel mare affoga il Bel Paese…

La compagnia Babilonia Teatri protagonista per la terza sera consecutiva al festival bassanese B Motion, questa volta con una versione compiuta di Pornobboy, presentato in forma di studio lo scorso anno nell’ambito della medesima rassegna. Se nella prima versione dello spettacolo gli elementi scenici erano protagonisti, la rappresentazione vista giovedì sera al CSC garage Nardini riduce tutto all’osso. La scenografia è inesistente, solo un grande pannello alle spalle dei performers in cui gli stessi, all’inizio,incollano i manifesti dello spettacolo improvvisandosi attacchini.
Pornobboy è una denuncia in puro stile Babilonia Teatri del mondo dell’informazione, un grande blob che vive di esibizionismo e voyeurismo senza vergogna, che si spinge ben al di là del buco della serratura nello scandagliare le vite intime dei protagonisti di fatti di cronaca o dei personaggi pubblici. La scena è fissa ed il testo recitato senza espressione affonda la propria lama senza pietà fino alle viscere del tema. I bravissimi Valeria Raimonidi, Enrico Castellani ed Ilaria Delle Donne rimangono in piedi, fermi e con espressione attonita, e sciorinano il testo come in una messa pagana. Una litania corale, che pone l’accento su fatti noti al centro dell’attenzione morbosa dei media. Il caso Englaro, Meredith, il plastico di casa Franzoni, la lettera a Repubblica di Veronica Berlusconi e le scuse del marito premier enunciate dopo la ripetizione, per tre volte, della parola “riservatezza”. Un grande collage di notizie che rivela la sua oscenità, nella sua messa a nudo, come in un’associazione promiscua e orgiastica. Al termine un geniale colpo di teatro. Dopo un paio di minuti di silenzio, dal soffitto si attiva un grande ventilatore da cui scende una densa schiuma bianca che invade il palcoscenico. I tre attori ne sono travolti, e si lasciano cadere all’indietro, impotenti, dentro il magma che assume dimensioni mostruose. Una vera e propria ovazione di pubblico ha richiamato più volte in scena la compagnia. E molti spettatori, alla fine, si sono avventurati sul palcoscenico a toccare la grande e misteriosa schiuma bianca.

VOLTERRA – Se “Made in Italy” era il cinico ritratto a colori delle nostrane deturpaggini, questo “Pornobboy” è il suo negativo, il bianco e nero, che concede molto meno all’estetica lasciando trapelare nient’altro che il vuoto scarno della pulizia, la voce sola dei tre Babilonia, sempre megafoni arrabbiati ma stavolta meno urlanti. Sono altoparlanti, bocche di fuoco che sparano come mitragliatrici in uno spazio scevro e povero, senza alcun appiglio concettuale. La voce, il testo, tre corpi che potrebbero essere decuplicati all’infinito come la parabolica d’acciaio alle loro spalle sulla quale, come pubblico in una ola da stadio, sono appesi ed appiccicati i loro tre volti, non rassicuranti né sorridenti (e in fondo non c’è niente di che sorridere), nei cartelloni promozionali della piece. Niente è casuale, come le magliette di icone che indossano: c’è il Che rosso, il teatro (Santarcangelo) sul blu, I love NY in bianco. Simboli e stilemi da distruggere o quel che resta (del giorno) da salvare? Sono, se possibile, ancora più duri e cupi, rabbiosi e incazzati, e le loro parole s’incollano nelle teste, s’appiccicano negli occhi nelle piene dei continui rafforzativi recitativi così come nei lunghi e prolungati e ingestibili silenzi opprimenti che mettono a subbuglio dentro, che rendono inquieti, che danno fastidio, prurito e ruggine. Stanno in posizione da marines, gambe larghe e braccia lungo il corpo, non concedono niente alla poesia, nulla all’estetica, e la loro denuncia si infarcisce di dialetto negli attacchi ai giornali, Cogne, Quattrocchi, Carlo Giuliani e Meredith. Il dramma che diventa faceto nel piccolo schermo e l’ovvietà che pare tragica attraverso il tubo catodico. Ed allora le canzoncine da jingle stupido e banale si miscelano a Veronica Lario, le canzonette popolari si imbottiscono di Eluana in tutte le salse, ritornelli sanremesi di serie B e slogan e luoghi comuni e partite di pallone, tutto triturato come frattaglie nel videogioco della vita dove c’è sempre un altro schema e non si muore mai per davvero. Non fanno sconti i picconatori Babilonia mai consolatori; ti guardano come a dire: “E allora?!”, un po’ sfida, un po’ “hai tu la soluzione?”. Ti gettano addosso il mare di schiuma-sperma come un blob avvolgente e viscido nel quale non possono far altro che sprofondare e farsi inghiottire, cadere fagocitati. Sono militanti ed il loro è ancora, sempre più, un teatro malinconico-politico senza scialuppe di salvataggio. Hanno scelto la direzione senza farsi portare, hanno puntato i piedi ed hanno deciso senza compromessi.

Che cosa è oggi la pornografia? Una realtà che nulla ha a che vedere con il sesso, bensì con la superficiale e morbosa nudità cui i mezzi di comunicazione riducono pubbliche tragedie e personalissimi drammi. Questo l’assunto di partenza del concentratissimo e asciutto spettacolo dei giovani veneti di Babilonia Teatri, che accolgono il pubblico seduti a terra sul palcoscenico. I tre interpreti tappezzano la parete di fondo con manifesti propagandistici dello spettacolo che si apprestano a mettere in scena. Raggiunto il centro del palco, il trio, quasi un rinverdito coro greco, dà inizio a quello che potremmo definire una sorta di monologo polifonico. Gli attori, infatti, non interpretano personaggi ma danno corpo ad un’unica entità, un megafono loquace e cadenzato deciso a denunciare ipocrisie e bassezze della società di massa. Si parte dall’elenco dei quotidiani e dei mille inserti che li appesantiscono per arrivare a fabrizio Quattrocchi, mercenario tramutato in eroe patriottico, ad Amanda e al delitto di Perugia,  fino al dibattito velleitario e spregiudicato su Eluana. Il tutto in un flusso ritmico e inesorabile di parole, in cui si mescolano italiano e dialetto veneto, proverbi e modi di dire, stereotipi linguistici e roboanti titoli di giornale. Un intelligente e incisivo collage di frasi tratte da articoli e interviste, trasmissioni televisive e chiacchiere da bar che quel linguaggio mediatico riproducono e storpiano. Comune la banalizzazione e la riduzione ai minimi termini di vicende e questioni al contrario complesse e delicate, che richiederebbero riservatezza e rispetto, fatica per il loro approfondimento e umiltà nel ritrarsi di fronte alla dignità del singolo. L’attrazione per il porno, allora, si identifica in un voyeurismo interessato non tanto ad atti sessuali, bensì ad esistenze altrui che, per varie ragioni, si allontanano dalla nostra quotidiana routine. Come difendersi da questa subdola pornografia dei nostri tempi? Mettersi da parte, celarsi affogando nella morbida cascata di schiuma che, al termine dello spettacolo, sgorga dalla parte alta della parete di fondo, da una sorgente che si rivelerà essere un enorme preservativo, divenuto a questo punto insospettabile simbolo di naturale purezza.

C’è qualcosa di irreparabile e probabilmente definitivo nell’entrare in una sala teatrale dove è in programma Pornobboy, il nuovo spettacolo di Babilonia Teatri, e trovarvi i tre attori seduti per terra che ti fissano con aria torva,  indossando delle improbabili magliette col volto di Che Guevara, il cuoricino di I Love NY, il logo di Santarcangelo. Nell’ostilità del loro sguardo, in qualche modo, sembra riflettersi l’estrema caduta di quanto ancora restava delle illusioni della scena, dei rassicuranti apparati della finzione. Visti così, con quella espressione rabbiosa e quell’aspetto ostentatamente dimesso, si pongono subito a distanza siderale dalle labili creature di Cechov o di Beckett, da  qualunque idea di interpretazione, da noi che prendiamo posto in platea. Poi cominciano a parlare, anzi a scandire a ritmo convulso il oro testo costruito su ritagli casuali di giornale, spezzoni di realtà centrifugati dal linguaggio quotidiano, situazioni grottesche o dolorose deformate dall’enfasi della cronaca, e la sensazione di essere investiti da un’energia devastante -primordiale e attualissima- si acuisce vertiginosamente. I tre danno vita a una specie di coro tribale che tritura eventi e personaggi, Amanda e Veronica, il G8 ed Eluana: la pornografia cui allude il titolo non è palesemente una funzione dell’eros, ma una patologia dell’informazione. Pornografiche non sono però le notizie in sé: a renderle tali è il nostro sguardo, la nostra morbosa pretesa di avere dettagli sempre più sordidi o agghiaccianti, rispecchiata, fotografata da quel loro flusso verbale incalzante, ripetitivo.

L’impressione che suggeriscono prima ancora di un rigetto, è quella di una naturale, assoluta estraneità. E’ estraneo e come alieno il loro tono distaccato, è estranea l’immobilità dei corpi, e la gelida furia con cui rivoltano la forza delle parole contro chi ne fa uso. Questa estraneità viene meno soltanto al risuonare di una voce infantile fuoricampo che intona una canzoncina da Zecchino D’Oro. Il motivetto, anziché risultare beffardo, suscita una strana tenerezza quasi la nostalgia di una purezza perduta. E’ un meccanismo difficile da spiegare: in quel momento i tre svestono la maschera degli alieni. Per un attimo li sentiamo più umani, più “veri”, dunque paradossalmente più “falsi”, più vicini al concetto di attore che conosciamo. Ma è solo un istante: una colata di schiuma che si riversa dall’alto li inghiotte sottraendoli alla vista.

Mi soffermo su questi particolari perché servono a inquadrare la fisionomia di uno dei gruppi di punta del variegato e vivacissimo panorama italiano di oggi. Lucidamente pilotato da Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, col prezioso apporto di Ilaria Dalle Donne, Babilonia Teatri incarna al meglio l’anima più spoglia e per certi versi più estrema di un movimento -se così si può chiamarlo- che sta sovvertendo le convenzioni della scena. Nei suoi spettacoli non c’è trama, non ci sono personaggi: c’è solo quel serrato impasto di luoghi comuni, frasi fatte, citazioni che si trasformano in nenie e filastrocche, si nutrono di echi del dialetto veronese, si intrecciano con materiali sonori sarcastici e spiazzanti, telecronache di partite di calcio, finali di Sanremo.

[…] cosa deriverà in futuro da tutti questi smottamenti, è impossibile dirlo: di sicuro, per Shakespeare e Goldoni non si prospettano tempi facili.

Come si è detto molto del festival di Volterra ruota praticamente intorno allo spettacolo in carcere, qui però abbiamo avuto la fortuna di vedere anche l’ultimo spettacolo di Babilonia Teatri, uno dei gruppi più interessanti dell’ultima generazione e che Eolo segue costantemente dalla sua nascita. Come già accadeva in Made in Italy, lo spettacolo che li ha rivelati , ma in modo assai diverso, Pornobboy è una ininterrotta litania di parole, questa volta a tre voci riversata sul pubblico che sottointende un profondo malessere sociale e morale. La pornografia questa volta non esibisce corpi nudi ma mostra volgarmente senza veli il nostro modo di comunicare.
Un modo,un mondo che mescola dati e fatti, luoghi comuni, ogni cosa, senza una vero motivo, perchè il vero motivo è celarne l’effettiva verità .
Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Ilaria Dalle Donne, con un ritmo preciso ora continuo, ora interrotto da pause stranianti, ci vomitano contro la morte di Giuliani, ma anche quella di Quattrocchi e di Meredith , e poi la Franzoni e il delitto di Cogne senza risparmiarci ovviamente Veronica e Silvio a braccetto con Eluana Englaro, tanto tutto fa notizia. E’ uno spettacolo morale che rifugge dalla morale, senza apparente drammaturgia che ne contiene invece una ben più profonda, celata nella stessa desertificazione dei significato della parola, usata però nella sua gelidità oggettiva
A corredare tutto poi non c’è poi più il funerale di Pavarotti o Laura Pausini, ma un coro di bambini dello Zecchino d’ Oro che canta l’amore, ma lo fa senza derisione, è quasi una ninna nanna che melanconicamente vuole addolcire il nostro sgomento, sino al colpo di scena finale, dove un enorme mare di bianca schiuma artificiale, quasi sperma, prodotto a vista da una macchina che sta sopra la scena, inghiotte gli attori e forse anche gli spettatori e ci sommergerà, ci seppellirà, anzi ci ha già seppellito a meno che non ci ridestiamo dal sonno in cui siamo caduti.

“sghei e osei finchè ghe né ciapei” (soldi e uccelli, finchè ce ne sono, prendeteli) esortavano nel loro  spettacolo precedente, made in italy. Premio Scenario 2007.

Si definiscono con un paradosso: un teatro pop, un teatro rock, un teatro punk.

Babilonia Teatri, gruppo veronese in rapida affermazione, esegue un teatro dell’eccesso di parola esattamente ortogonale al teatro narrativo della verticalità del verso. Estraendo temi e tormenti da tutti i media in cui siamo immersi, li ripropongono a ritmo vertiginoso come litanie, senza respiro, formando una massa di parole orizzontale e magmatica, di cui lo spettatore è chiamato a ricomporre il senso.

Il loro nuovo spettacolo, Pornobboy, fa riferimento alla pornografia dell’informazione, all’eccesso di orrore e di gossip nel cui flusso ci dibattiamo ogni giorno. Ce la sbattono in faccia in tre in scena-una scena nuda, abitata solo dai molteplici manifesti del loro spettacolo- in cui appaiono moltiplicati in un coro tragico.

Si va dalla giaculatoria sui nomi degli inserti dei quotidiani al compiacimento dell’orrore di porta a Porta, alla spettacolarizzazione giornalistica delle liti tra Veronica e Silvio, fino alla crudeltà del caso Englaro, premendo il pedale sull’intervento vaticano in merito alla presunta fertilità di Eluana. Arrivano a farci rabbrividire con un parallelismo tra il bianco papale e il bianco sperma, e con “Eluana, tutta tana…Eluana barbuta sempre piaciuta…”

Teatro militante,  che nel vomitare sulla scena con un détournement la bestialità della mediatizzazione globale dell’orrore quotidiano obbliga a prendere posizione, senza imporne una. Fino all’estremo del fraintendimento: durante una sequela sul razzismo in made in italy, alla terza ripetizione di “negro di merda”, una signora di colore se n’è andata offesa…

Il gruppo veronese Babilonia Teatri si è conquistato in un paio d’anni un ruolo rimarchevole sulla scena italiana. Dal loro spettacolo d’esordio, Made in Italy , a oggi, Valeria Raimondi e Enrico Castellani hanno elaborato un proprio preciso linguaggio scenico, tanto originale quanto penetrante nella coscienza del pubblico. Si dimostrano in grado infatti di scavare, frugare e selezionare nella montagna di sciocchezze da cui siamo sepolti, nei luoghi comuni e negli slogan, nelle false certezze e negli inganni bestiali da cui siamo sommersi, per trarne un canone liberatorio e irresistibile, trascinante e funereo che davvero attira verso l’abisso. La schiuma di politica e comportamenti, di turpitudini «civili» e di incivili perbenismi, è la materia che nelle loro voci si fa quasi partitura (assieme a loro, nel modulare impettiti, c’è Ilaria Dalle Donne), una raffica armonica, una sorta di canto gregoriano della nostra epoca. Era così nei due spettacoli precedenti, ma ora in Pornobboy (all’India fino a oggi pomeriggio) la tecnica si è evoluta, e anche il paesaggio circostante si è degradato: le posizioni, i pensieri e le rivendicazioni «di destra» come «di sinistra» si sono uniformate nella riproduzione massmediatica, come ognuno del resto si può rendere conto ogni sera accendendo la tv. Ma si sente ben presente il rischio di una stasi, quasi una prigionia dentro un modello che non riesce a oltrepassare il valico della denuncia, per quanto spietata e a 360 gradi. Mentre sicuramente il gruppo ha capacità e fiuto per scavalcare quella barriera e arrivare a un teatro più articolato. Come dimostra l’unica, vera e forte idea spettacolare, la montagna di schiuma che dall’alto piove alla fine a avviluppare e forse soffocare in una melma indistinguibile i tre attori e il contenuto del loro canone urlato. Funziona egregiamente come giudizio di valore, e minaccia apocalittica, ma fa venire in mente che da lì la serata, o la prossima creazione debba nascere e andare avanti.

Enrico Fiore Non se lo sarebbe mai immaginato, Carmelo Bene, che dieci anni dopo due giovanotti di Verona, roccaforte leghista, avrebbero allestito uno spettacolo a misura del suo «’l mal de’ fiori». Quel poema, che calò come una folgore a stracciare le cartoline letterarie del Novecento, era basato sullo scontro fra l’Eros (che dà affanno, giusto Platone che lo vuole figlio della Penuria) e il Porno (che dà quiete, giusto perché non fa alcuna differenza fra una donna e una tazza). Ed Enrico Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri – reduci dai Premi Scenario, Ubu e Vertigine – hanno presentato al Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, nell’ambito del festival «Barock», un’implacabile performance, «Pornobboy», che si muove per l’appunto fra l’angoscia e la stasi. È illuminante già la sequenza iniziale, con Castellani e la Raimondi che, affiancati da Ilaria Dalle Donne, si danno a ricoprire il tabellone di fondo con le locandine dello spettacolo in corso. Siamo di fronte a un’eclatante tautologia, e dunque proprio alla pura superficie che costituisce l’essenza e lo scopo del porno, ovvero la sostituzione del corpo con la sua immagine proiettata o stampata. Poiché di questo si tratta: della valanga di particolari con cui i media ci sommergono continuamente senza che mai, a proposito di un qualsiasi avvenimento, quei particolari si unifichino in una significante visione d’insieme, fino a scendere nella profondità delle idee. Ecco, allora, che i tre interpreti, allineati e immobili, ci rovesciano addosso in coro – e insieme ossessivi e gelidi – cinquanta minuti di un torrenziale rap (o salmo o preghiera o mantra) tessuto con tutte le parole dei giornali e delle televisioni accoppiate con tutte le frasi fatte dagli stessi indotte circa la cronaca recente: in un vortice di morbosità e voyeurismo che mescola, senza soluzione di continuità, la canottiera di Giuliani, le pappe di Samuele, la kefiah di Quattrocchi, i capelli di Amanda, la riservatezza di Veronica, le mestruazioni di Eluana e così via ubriacandosi di vuoto e d’idiozia. Inutile, a questo punto, sottolineare la bravura e il non comune dispiego di energia fisica messi in campo da Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Ilaria Dalle Donne. E la conclusione non poteva essere diversa, nel solco di un lavoro, appunto quello di Babilonia Teatri, che – lo ripeto ancora una volta – si rivela necessario perché storicamente fondato, in perfetta e straziante (ma anche ironica) sintonia col nostro presente. Al termine della «Ninna nanna di felicità» lanciata dallo Zecchino d’Oro, un mare di schiuma sommerge gl’interpreti e dilaga in platea. Ma non è nera, come la massa gelatinosa del «Blob» televisivo. È bianca, perché il bianco è per tradizione il colore della morte.